giovedì 11 luglio 2013

Libra di DeLillo: l'assassinio di Kennedy sotto il segno della Bilancia


Sono “i sette secondi che spezzarono la schiena al secolo americano”. E' il prototipo moderno del complotto e dell’assassinio, il piano perfetto.  
Tanto perfetto che non solo raggiunse il suo obiettivo, uccidere il Presidente e  cambiare la Storia, ma riuscì poi anche ad autoeliminarsi, come facevano in caso di necessità gli aerei U2 del romanzo.
Passato Dallas, la "verità" sul Complotto si è allargata come un mare tsunamico,  fino  a dissolversi, a disperdere i suoi confini in una palude in cui galleggiano ancora notizie, rapporti, foto, fotogrammi, video, personaggi inventati, sosia, documenti originali, carte false, testimoni in buona fede di circostanze posticce, una tomba con nome falso, una madre piangente. L’assassino si moltiplica in una folla di sosia, cecchini nascosti, assassini di assassini.
Si sa  tutto e non s'è mai venuto a capo con certezza di nulla. E' l'eccesso di dati, nel nostro tempo, che nasconde meglio  la verità.
Nel romanzo c’è un tale Nicholas Branch, che è chiamato a riordinare le cose, i fatti, a scovare una logica. Compare di rado, ma è un personaggio cruciale. Nel provare a far bene il suo lavoro di ricostruzione, ha l’aura della disperazione e dell’impotenza di chi è inghiottito dalle sabbie mobili.

Sembra tutta una trama trasudante l’intelligenza pragmatica e la volontà granitica di un Grande Vecchio, onnisciente e onnipotente.
“Se ne siamo fuori, presumiamo che un complotto sia la perfetta attuazione di un piano. Uomini taciturni e senza nome, dal cuore disadorno. Un complotto è tutto quello che la vita normale non è. E’ il gioco segreto, gelido, sicuro, attento, per noi eternamente inaccessibile. Noi siamo gli imperfetti, gli innocenti che cercano di dare un senso approssimativo alla lotta quotidiana. I congiurati possiedono una logica e un’audacia che trascendono la nostra comprensione. Tutti i complotti sono l’identica vicenda di uomini che trovano una logica in qualche atto criminale.”




DeLillo scrive il romanzo che ha al centro questo complotto perfetto e incredibilmente lo chiama  Libra!
Che c'entra il simbolo del segno zodiacale della Bilancia? Un segno d’aria, che ha nella volontà il suo punto debole, che pone il problema della mancanza di un peso proprio, della ricerca di un equilibrio, della volubilità, dell’impulsività.

“Quelli della bilancia. Alcuni sono positivi, padroni di sé, equilibrati, con la testa a posto, saggi e rispettati da tutti. Altri invece sono negativi, cioè piuttosto instabili, impulsivi. Tanto, ma tanto influenzabili. Propensi a spiccare il salto pericoloso. In entrambi i casi, la chiave è l’equilibrio.”
Qui non si tratta di credere o meno all’astrologia. Si tratta solo di capire qual'è il collegamento tra Libra, la Bilancia e la simbologia umana che esprime, con la solidità del complotto per antonomasia.


Il collegamento immediato è Lee Harvey Oswald, l'assassino "ufficiale"  di Kennedy, che era del segno della Bilancia.
Un uomo d'aria, appunto: spiantato, fuori equilibrio, con una dolorosa percezione dei suoi limiti, che sa di essere una nullità, un poveraccio venuto dal più improbabile dei posti. Cerca il suo punto fermo nel marxismo, nella Russia, in Fidel, in un’organizzazione segreta, in un compito da svolgere. Cerca qualcuno che gli dia il senso di una consistenza e di essere parte di qualcosa; cerca qualcosa a cui appoggiarsi.
Trova un piano. Anzi, è il Piano a trovare lui. Non è lui a sceglierlo, perchè non sa scegliere, anche se non lo sa. Piuttosto si fa scegliere, con l’acquiescenza mascherata di opportunismo dei volubili, la volitività riflessa di chi non ha volontà propria. Una volitività posticcia, insincera  e proprio per questo spietata, crudele; impulsiva anche quando sembra meditata; violenta e crudele perché indifferente, mai partecipe fino in fondo.
Sposa una russa non tanto per amore, ma perché non regge la solitudine e  si piace a vedersi sposato con una russa.
Uccide Kennedy non tanto per odio, ma perché ucciderlo gli permette di sentirsi qualcuno e parte di qualcosa. Gli piace soprattutto immaginare cosa diranno di lui.  Diventa“l’Assassino” quasi per inerzia delle cose, con la vaga ambizione di trovare un senso, un riparo, una sistemazione, un modo per sentirsi “dentro”, al centro e non ai margini, ai confini. Lui in fondo ci mette solo la sua indifferenza.
Se la chiave di Libra è l’equilibrio, lui la cerca nel solo modo che conosce: adeguandosi e immedesimandosi. Sembra una ribellione, un atto di libertà e invece è un atto di conformismo, di codardia. Tenta di far corrispondere la misura della  bilancia  della sua vita al peso delle persone, degli eventi, dei fatti in cui si imbatte, dentro cui viene costretto dalle scelte degli altri.

Ma non è solo questo. Non è solo Oswald. Anche il gruppo dei congiurati che elaborano il piano e che sono poi forse quelli che davvero colpiscono JFK sono personaggi che hanno perso il loro peso, il loro equilibrio.
Sono reduci dal fallimento della invasione di Cuba e lo imputano al tradimento di Kennedy. Farlo uccidere da qualcuno che sia riconducibile ai movimenti filo castristi dovrebbe secondo loro favorire una reazione popolare e quindi la riesumazione dei piani di invasione americana dell’isola.
E’ gente che lavora nei servizi segreti; sono quasi tutti avviati ad una malinconica conclusione della vita in modeste case di travet o al cupio dissolvi in tristi trasgressioni. Anche loro si librano in un mondo in cui cercano di ritrovare una strategia di vita, di ritrovare una carriera perduta,  la possibilità di identificarsi in un “lavoro importante”, in un obiettivo, se non in una certezza. Non importa se l’obiettivo sia il frutto di un’ambizione narcisistica o di un’incontenibile invidia; che abbia il sapore di una vendetta o di un esorcismo; che dietro ci sia l’illusione di poter servire un ideale o la voglia di sfasciare tutto.

Hanno scritto che DeLillo mostra di credere ad uno dei tanti complotti possibili e forse a quello sbagliato. La sua genialità invece sta proprio nel togliere intanto ogni importanza a chi o cosa ci sta davvero dentro al complotto. Quello che conta è  che il piano, chiunque ci sia coinvolto, prima si scompone in varianti e poi si frantuma in una serie di fatti isolati, di motivazioni individuali. Tutto converge in quei sette secondi, ma non c'è una qualche tetragona volontà. Il fattore "Libra", il caso e l'inerzia delle cose sembrano giocare un ruolo molto più importante.
Il Grande Vecchio sembra piuttosto un puzzle di pezzi di intelligenza, di piccole velleità, di moventi esistenziali con radici profonde e misteriose, di intuizioni ed abilità che vagano (librano, appunto) in cerca di un punto fermo su cui applicarsi. E l'idea di uccidere l'uomo più amato e odiato d'America, una cosa che "girava nell'aria", finisce per far da catalizzatore. 

Nicholas Branch, alla fine,  mentre le ipotesi e le carte cominciano a tracimare dalla sua stanza e ad invadere l’appartamento-bunker, scopre che adesso sul complotto “la pensa diversamente”. Pensa che sì, c’era un piano per uccidere il Presidente, ma che “fosse un piano ampio e sconnesso, riuscito soprattutto grazie all’aiuto del caso”.
Ma allora, se “il complotto perfetto” è questo, è ancora possibile credere all’idea stessa di complotto, alla volontà solida di un Autore che ordini le cose secondo una trama, come fosse la trama di un romanzo?

O piuttosto,  pensare a qualcuno che articoli la trama, le dia un senso, si assuma le colpe, non è solo un modo per semplificare le cose e tentare di barare con la vera grande nemica?
"Le trame possiedono una logica. C'è una tendenza, nelle trame, a evolvere in direzione della morte. Lui era convinto che l'idea della morte fosse insita nella natura di ogni trama. Nelle trame di narrativa come in quella di uomini armati. Più la trama di un racconto è fitta, più è probabile che approdi alla morte. La trama di un romanzo, credeva, è il nostro modo di localizzare la forza della morte fuori dal libro, di esorcizzarla, di contenerla.”

Sapere che cosa è accaduto, raccontarsi la storia per com’è andata davvero è tutta un’altra cosa, molto più complicata.
“Lui credeva che nulla di ciò che riguardava i moventi e i bisogni degli uomini fosse conoscibile fino in fondo. C'era sempre un altro livello, un altro segreto, un modo in cui il cuore generava un sotterfugio così misterioso e complesso da potersi intendere solo come una più profonda verità.”

È lì, sulla strada di quella ricerca vana  a cui non possiamo rinunciare, che lo scrittore trova i suoi lettori:
"Al mondo esistono solo due tipi di cose. Le cose che sono vere. E le cose che sono più vere del vero. A noi serve questa piccola corsia privata su cui incontrarci".