giovedì 24 marzo 2011

IL PUNTO ESCLAMATIVO HA BISOGNO DI RIPOSO

Il nostro  blog amico Senzadedica ci ha sollecitati ad un salvataggio, come potete ben vedere in questo link


Potevamo essere così insensibili da lasciar cadere un così accorato grido di dolore?

Un pit-stop sul punto esclamativo  è proprio necessario, anzi indifferibile.
Non se ne può più. E non ne può più nemmeno lui, di sicuro.
E' evidente ormai che sta pagando duramente lo stress da iper-lavoro a cui è costretto.
L'avvento delle comunicazioni virtuali, di internet (email, blog, commenti a commenti di commenti, twit, post faicebookkiani e via dicendo) ne ha ipermoltiplicato l'uso e lo ha travolto.
E come tutti gli stressati sta diventando inutile, ridicolo, irritante, fastidioso.

E' altrettanto evidente che non è colpa sua. Le colpe sono nostre e tre sono le principali:
1) la grafomania imperante: scriviamo troppo. E' diventato troppo facile scrivere. E per tentare di farsi leggere, la strada di solennizzare e rendere apodittico quel che tasteggiamo è quella più facile.    Il "!", pensiamo, richiama l'attenzione su quel che scriviamo; e quel che scriviamo spesso supponiamo non la meriti, l'attenzione (spessissimo, a giusta ragione).
Paradossalmente più temiamo di non interessare e più esclamiamo.

2) non abbiamo più certezze (che di per sé sarebbe cosa buona e giusta). E questo non ci sta bene.
Allora simuliamo di trasformare in certezze un numero spropositato di piccoli spunti, di idee veloci, di transitori moti dell'animo, di pensieri in libertà, di labili giudizi. Appoggiamo un punto esclamativo a queste cose, contando come nell'effetto di una trave su un edificio terremotato. Con lui insomma noi tentiamo di mettere in sicurezza le nostre precarie costruzioni mentali; di proteggerle dal rischio, che avvertiamo probabile ed imminente, di crolli disastrosi e di sbrigative rimozioni delle macerie dalla mente di chi ci legge. Invano, naturalmente.

3) siamo sempre più emotivamente isolati.
Sembra paradossale, ma è così: più siamo in contatto col mondo e più ci sentiamo individui isolati. Ebbene il  "!" pietosamente trasporta clandestinamente nella sua esile asticciola un sapore mentale, un nostro retrosentire segreto. Lì dentro noi ci infiliamo una richiesta di complicità, una invocazione di assenso, l'implorazione di una carezza di riconoscimento. E' come se attraverso di lui dicessimo: "quel che dico è vero: riconoscilo! credimi! stai dalla mia parte! amami!"

Ecco, il povero "!" lo sovraccarichiamo di tutto questo fardello di bisogni di comunicare, di sicurezze, di empatia, di affetto.
Non si tira indietro, lui. Come potrebbe d'altronde? E' solo un povero tasto emarginato, lassù, in alto a sinistra: il cappellino del numero 1, precariamente appoggiato su un puntino. Subisce. Così appesantito, fa fatica a mantenere l'equilibrio. Si stanca. Sente il ridicolo che lo fa traballare e poi lo travolge.

Andrebbe protetto, custodito, indossato come il vestito della festa; usato come il salotto buono delle case di una volta; mangiato come la carne un secolo fa, nelle ricorrenze veramente importanti.

Ha sicuramente bisogno di riposo, di un periodo di ritiro. Per recuperare  il senso della sua esistenza, il rispetto di sé, il suo rango nobile ed antico.

Una proposta precisa noi ce l'avremmo:
mandiamolo a meditare per un pò nel chiostro silenzioso del dubbio!