sabato 4 settembre 2010

I lettori-rana di Amelie Nothomb

Chi frequenta un mondo di grandi lettori, come quello di Anobii (www.Anobii.com) ne incontra, di lettori-rana. 
Sono quelli che, mentalmente vestiti a festa (perchè leggono come andassero ad una festa, aspettando con ansia sincera il momento di sprofondarci dentro), si buttano nei libri come in un salotto affollato: per stordirsi, per lasciarsi ipnotizzare dal rumore delle parole e da quel che evocano, per "incontrare gente", per riconoscersi belli e bravi, per non pensare. 
Li usano come una specie di anestetico. Non per invocare un sonno bello di sogni, ma per dimenticare di essere vivi anche quando sono svegli. E per non vedere l'infinita infelicità che si portano dentro e che seminano con inconsapevole crudeltà al loro passaggio. Non vogliono ricordare quel che sono e quel che hanno fatto della loro vita e tentar di cambiarla. Vogliono solo dimenticare di essere quel che dentro non accettano di essere (e magari non sanno di essere a volte persino belli, il che aumenta la tristezza della cosa). Anche così, in fondo, la lettura ha una sua funzione benefica.
Se ti capita di incontrarli davvero, però, ti accorgi che dopo ogni libro, come dopo ogni incontro della loro vita reale,  si lasciano dietro un filo nero e gelatinoso di parole e di sofferenza; un filo addobbato magari di spiritosaggini o di frasi sperluccicanti, come perle fasulle. Un filo nero  e gelatinoso esattamente come quello che le rane emettono nella stagione dell'amore:  ma, dal quel filo, non nasce niente. 
Ecco cosa ne scrive la Nothomb: 


"C’è gente così sofisticata da leggere senza leggere. Come uomini-rana, attraversano i libri senza prendere una goccia d'acqua. Sono i lettori-rana. Costituiscono la stragrande maggioranza dei lettori umani, e tuttavia ne ho scoperto l’esistenza molto tardi. Sono così ingenuo. Pensavo che tutti leggessero come me; io leggo come mangio: questo non significa solo che ne ho bisogno. Significa soprattutto che entra nelle mie componenti e che le modifica. Non si è gli stessi che si mangi sanguinaccio o caviale; allo stesso modo non si è gli stessi se si è appena letto Kant (Dio ne scampi) o Queneau. In realtà, quando dico “si”, dovrei dire “io e qualche altro”, perché la maggior parte della gente emerge da Proust o da Simenon in uno stato identico, senza aver perduto una briciola di ciò che erano e senza aver acquisito una briciola in più. Hanno letto, ecco tutto: nel migliore dei casi, sanno “di che cosa parla”. Non pensi che esagero. Quante volte ho domandato a persone intelligenti: «Questo libro vi ha cambiato?» E mi hanno guardato, gli occhi sgranati, con l’aria di dire: «Perché avrebbe dovuto cambiarmi?»

da Igiene dell'assassino di Amelie Nothomb